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Magari Venezia fosse un museo!

Magari Venezia fosse un museo!

Però come il Museo di Alessandria, quello che Tolomeo aveva avuto l'idea di dedicare alle Muse, allo studio, allo scambio internazionale.

Museo come luogo di incontro, dispositivo per favorire la cooperazione dei cervelli e non solo il consumo turistico. Invece tutto pare divorato o lasciarsi divorare.

La città dei record, la Biennale dei record, i Musei Civici che aprono per i turisti e chiudono quando i turisti non ci sono (è successo nel 2021). E’ caduto ogni confine tra la stanza di hotel a 250 € (la più economica che hai trovato), il vaporetto a 9.50, la coda chilometrica per vedere l'arte e l’arte stessa.

A Venezia, il sogno dell’avanguardia si rovescia, l’arte non sparisce nella vita rivoluzionata, ma nell’astrazione del capitale (e tanti ancora si illudono di avercela di fronte). Il valore d'uso del patrimonio, dei campi, dei palazzi s’è ritirato da qualche parte, là in fondo, dietro al valore di scambio, ipertrofizzato al punto tale da occupare tutta la scena. Venezia con il ticket…Avrà il doppio turno come i ristoranti? Primo giro alle 19.30, secondo alle 21.00?

Venezia, con il ticket (meglio se in prevendita), finalmente palesa il compimento di una metamorfosi, diventa evento essa stessa; ma quando “evento” cessa di essere il nome di qualcosa che rompe la routine, si trasforma nel suo opposto, nel nome della quotidianità dell’estrattivismo, della nuova routine dell’estrazione del valore, alimentata da piccoli e grandi rentier. Qualche architetto immaginifico, negli anni 70, disegnava città modulari ispirandosi al supermercato e al parcheggio. Qualcun altro, più tardi, descriveva lo spazio della post-modernità come “spazio spazzatura”, un continuo globale di snodi, di membrane di vetro e acciaio, di scale mobili e aria condizionata. Il modulo che Venezia impone come matrice della città globale turistica, è il plateatico. Sedie-ombrelloni-tavoli-spritz-fingerfood-conto-sedie-ombrelloni-tavoli-spritz-fingerfood-conto…All’infinito nello spazio. Lo slow food è arruolato, cibo di qualità-vita di merda. La temporalità della città globale turistica è quella di una digestione ingolfata, un riflusso gastrico sociale, un colon infiammato che defeca folle di turisti (e nella merda si fa fatica a vivere). Chi meglio di un imprenditore del lavoro interinale e dell’intrattenimento per governare (o meglio custodire) questa eterna ruminazione. Se la merda fosse oro…E lo è, per chi ci guadagna. Dove finisce il turismo? Dove iniziano quelle altre cose chiamate città, cultura, arte, spazio pubblico, politica? Non sono più "altre cose", chi non lo capisce si illude. E si illude che evocandole, come in passato, qualcosa cambi. Eppure niente è perduto. I ragazzini continuano a prendere a pallonate i muri, la gente continua ostinatamente a convocare assemblee pubbliche, a tracciare linee di fuga dall’astrazione del capitale.

Certo, la strada è in salita, ma lo era anche dodici anni fa, quando le crociere sembravano così tante e grandi e noi poch_ e piccol_. Saremo in piazza perché per noi la lotta fa tutt’uno con la ricerca, la ricerca di grammatiche efficaci che ancora non possediamo, ma che troveremo. Soprattutto, saremo in piazza perché abbiamo bisogno di ossigeno, di cominciare/continuare a vivere quell’altro spazio-tempo che, ancora senza nome, pur ci toglie la nausea che la città-evento ti mette addosso.



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