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Manuel Borja Villel abbandona la direzione del Reina Sofia

È ufficiale, Manuel Borja Villel, dopo 15 anni, non ripresenterà (pur avendone diritto) la candidatura alla direzione del Museo Reina Sofia di Madrid. La stampa spagnola di destra ha condotto, nei confronti dell’ex direttore del MACBA una virulenta ed esemplare “guerra culturale”, in ciò facilitata dall’opportunistico silenzio del mondo dell’arte spagnolo, in fondo non troppo scontento della possibilità che il Reina Sofia (con il suo nuovo peso reputazionale) possa, magari, diventare pienamente strumentale alle logiche dell’industria culturale. Sebbene, dopo 15 anni, il cambio può apparire fisiologico, non è una buona notizia per chi si batte contro la neoliberalizzazione di arte e musei, per tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori del settore che vedono erosi i propri diritti, per artist_ e operat_ che intendono l'arte come strumento di intervento sociale.

Borja ed il team del Reina Sofia, al di là di avere "resuscitato" un museo fino ad allora marginale, hanno sperimentato un vero e proprio modello alter-isituzionale, rivoluzionando la collezione attraverso la valorizzazione del documento e della agency collettiva a discapito dell’opera e del genio individuale; opponendosi alla privatizzazione di archivi d’artista del sud globale per mano di ricche istituzioni euro-americane, proponendo in alternativa un modello di sostegno ad archivi militanti dell’America Latina; aprendo le porte al quartiere di Lavapies, fornendo spazi e risorse a collettivi locali con il progetto Museo Situado; strutturando alleanze con movimenti e difendendo spazi sociali; tentando di portare avanti (per quanto possibile, trattasi pur sempre di un’istituzione intitolata ad una regina) un modello di museo che, per dirla con Paul Preciado, si avvicini più al "parlamento di un’altra sensibilità”, piuttosto che all’ennesima attrazione dello spettacolo neoliberale.

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